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Il volume curato da Marietta Horster and Nikolas Hächler presenta una serie di contributi tesi ad analizzare l’impatto della presenza romana sui paesaggi del periodo imperiale. La prospettiva proposta cerca di cogliere differenti spunti di analisi, utilizzando dati archeologici, rappresentazioni artistiche, fonti scritte e infrastrutture costruite nei vari territori dell’Impero. Tutte queste informazioni sono processate per comprendere la percezione dei paesaggi, l’organizzazione amministrativa, politica, insediativa, culturale e sociale dei territori, nonché la coscienza dell’essere Romani infusasi nelle tradizioni locali. Il lavoro si caratterizza, inoltre, per un accentuato progresso sul concetto teorico di Romanizzazione, aprendo le porte ad una visione post-colonialista che si snoda all’interno delle quattro sezioni che lo compongono.

La prima sezione raccoglie due interventi introduttivi che fungono da legante ai vari contributi presenti all’interno del volume. Si delineano qui le necessarie definizioni di paesaggio, l’apparato teorico e i vari impatti che la presenza di Roma comportò in territori tra di loro eterogenei, che rispondevano a culture autoctone altrettanto differenziate. Queste ultime, ovviamente, interagirono in maniera differente con la nuova amministrazione; il paesaggio fu adeguato di volta in volta alle necessità dell’Impero, alla sua esigenza di connettività e mobilità, dettata da un mercato globale e interconnesso. Questo comportò, come ben sottolineato, una osmosi tra creatività, innovazione e tradizione che i vari contributi ben delineano lungo il volume.

La seconda sezione si concentra sul ruolo che rivestirono le infrastrutture nel modificare e organizzare i paesaggi imperiali. Gli interventi spaziano geograficamente dall’Italia repubblicana alla Spagna augustea, sino a giungere alla Lusitania e all’Asia minore. La rete stradale, con i suoi miliari, diviene l’elemento chiave per interpretare la connettività e la mobilità di un mondo classico che sempre più diventava globale nella sua realizzazione e nella percezione. Si apprezza l’intervento di Camilla Campedelli, teso a enfatizzare l’impatto sociopolitico della costruzione delle strade nell’Iberia; la rete viaria divenne anche un mezzo per modificare pesantemente il paesaggio su cui insisteva, al fine di riuscire a connettere le comunità urbane, luoghi di maggiore rappresentanza delle élite.

Anche il capitolo curato da Sabine Lefebvre insiste sulle strade, spostando l’attenzione verso il periodo della lunga tarda antichità; l’analisi proposta vede i miliari diventare la manifestazione materiale del supporto verso gli imperatori che velocemente si susseguirono in questo delicato panorama politico.

Conclude la sezione lo studio sull’impatto degli acquedotti nell’Asia minore romana di Saskia Kerschbaum; se nel periodo repubblicano la costruzione di queste infrastrutture idrauliche era visto più come un onere che un servizio alla comunità, con l’Impero divenne invece lo strumento per confermare lo status di urbanitas, specie in zone liminali.

L’intera sezione dimostra, quindi, come una lettura analitica delle infrastrutture costruite durante il periodo imperiale possa dispiegare numerose interpretazioni antropologiche e identitarie, confermando al tempo stesso la loro importanza nel comporre un quadro di mobilità e connessione tra mondi e culture differenti accomunate dall’egemonia politico-amministrativa romana.

La terza parte del volume si focalizza sull’organizzazione dei paesaggi romano imperiali. Il contributo sull’Etruria riporta alla luce tutte le influenze sui dibatti della Romanizzazione, largamente investigati da Nicola Terrenato e, più recentemente, da Valentina Limina; il territorio dell’Etruria romana risentì della preesistenza etrusca, andando ad intercettarlo senza mutarlo profondamente, tanto è che Günther Schörner parla giustamente di memoria etrusca perpetuatasi anche a seguito del dispiegamento dei veterani e dei nuovi coloni. Una prospettiva questa, come già accennato, che si inserisce nelle tematiche affrontate da Terrenato e che trova in recenti scavi dell’Etruria ulteriore conferma.

La negoziazione di identità culturali a seguito dell’arrivo dei Romani si riflette anche nel contributo dedicato alla Gallia settentrionale, dove l’osmosi politica e sociale delle popolazioni autoctone divenne l’arma vincente per definire nuovi insediamenti strategici alla politica romana.

Più legato all’analisi delle fonti scritte è il contributo di Francesco Bono, che indaga attraverso la Novella 20 di Teodosio II i rapporti giuridici sulle terre alluvionate. SI tratta di un paesaggio in perenne e continua trasformazione, su cui l’imperatore interviene per definirne i limiti, con un impatto giuridico teso a regolamentarne l’uso, la proprietà e a sfavorirne l’inevitabile depopolamento. Siamo qui di fronte ad un impatto legislativo della trasformazione del paesaggio, con riflessioni che pongono l’accento sull’agency delle élite politiche e il loro impatto nella trasformazione dei territori.

Sempre al periodo tardoantico si lega l’intervento successivo che si focalizza sui forti militari, attraverso analisi spaziali; ne viene chiarito il ruolo di centri economici posti lungo la frontiera settentrionale, sebbene questa non sia sempre stata la percezione delle popolazioni locali, rimandano ad uno studio puntuale di casi. La rappresentazione delle élite locali si configurava, invece, meglio nei santuari, argomento questo trattato solo in un capitolo, a firma di Elena Muñiz-Grijalvo e Fernando Lozano. La loro analisi è incentrata nell’Asia Minore dove resti epigrafici permettono di cogliere un’osmosi tra i culti locali e quelli imperiali.

Conclude la sezione il saggio di Nikolas Hächler dove si analizza il trattato Expositio totius mundi et gentium; si delinea un’agency romana in grado di adattarsi all’ambiente circostante, andandolo a modificare e accomodare alle sue esigenze espansionistiche ed economiche.

L’ultima parte del volume è legata allo studio della recezione del paesaggio romano nelle opere d’arte e letterarie. Le descrizioni di Cicerone e Giulio Cesare della Gallia aprono la sezione, contrapponendo due differenti visioni del paesaggio francese. Il contributo successivo, invece, si incentra sulla percezione e i cambiamenti nei riguardi dello sviluppo delle ville romane, il loro impatto sul territorio, ma soprattutto la loro rappresentazione sociale in transizione tra il periodo tardo repubblicano e quello del Principato.

La raffigurazione artistica dei paesaggi romani mitologici è l’oggetto dello studio di Abigail Walker, attraverso una ricerca dettagliata sugli affreschi campani. Il contributo ben si fonde con quello successivo, a opera di Del Maticic, dove si analizzano invece le rappresentazioni letterarie della lotta tra Ercole e il gigante Caco; in questo caso, il paesaggio delle acque – e il loro consumo e regimentazione in acquedotti – diviene lo sfondo ideale per enfatizzare le opere idrauliche – e non solo – perpetuate sotto il regno di Augusto.

Le opere di Stazio sono l’argomento del penultimo contributo; lo studio di Christopher Chinn propone una lettura dell’autore dimostrando una fusione di paesaggi romani ideali convogliati nei versi del poeta latino tesi ad enfatizzare il ruolo dell’Imperatore e dell’Impero nella trasformazione paesaggistica.

Conclude il volume l’intervento di Silke Diederich sulla Tabula Peuntingeriana. La mappa diviene il mezzo, seguendo il ragionamento dell’autrice, per rappresentare l’organizzazione capillare del paesaggio romano-imperiale. La Tabula prefigura all’osservatore l’amministrazione puntuale dell’Impero, dipingendo il mondo conosciuto e razionale, intelligibile e regolamentato da una fusione tra sacro e politico riscontrabile in tutta la propaganda imperiale.

Concludendo, il volume qui recensito fornisce nuove chiavi di lettura e di interpretazione dei mutevoli paesaggi di epoca imperiale, creando un lavoro solido e ben strutturato. I curatori sono riusciti nell’intento di organizzare i differenti interventi entro sezioni che hanno la duplice capacità di essere indipendenti tra di loro e di fondersi comunque in una narrativa tesa a regalare al lettore un excursus accademico tra differenti approcci. La scelta di far interagire tra di loro differenti tipi di fonti sullo studio dei paesaggi è un esperimento riuscito e di alta qualità, dovuto anche all’impegno dei vari autori che hanno contributo al libro.

I piccoli – quanto mai inevitabili – refusi che si incontrano nella lettura non possono che essere dimenticati di fronte ad un’opera che riuscirà ad ottenere la necessaria visibilità per tutti coloro che si occupano dello studio dei paesaggi romani.

 

Alessandro Sebastiani, Associate Professor, Department of Classics, University at Buffalo (SUNY).

Publié en ligne le 25 janvier 2024