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Il volume raccoglie gli atti di un convegno tenutosi a Roma tra il 26 e il 28 novembre 2018 in tre sedi diverse (il Parco Archeologico del Colosseo, la Sapienza Università di Roma e l’École française de Rome). È costituito da venticinque saggi, più un’introduzione dei quattro curatori e una postfazione di Pierre Gros. Uscito nel giugno 2022, dopo quattro anni, è disponibile anche in modalità open access. La pubblicazione rende omaggio a Ferdinando Castagnoli, professore di Topografia Antica alla Sapienza, scomparso nel 1988, ed è idealmente il seguito del convegno L’Urbs, espace urbain et histoire (Ier siècle av. J.-C. – IIIe siècle ap. J.-C.), tenutosi dall’8 al 12 maggio 1985 sempre a Roma. A confronto, gli atti di questo primo convegno, pubblicati nel 1987 (CEFR 98), erano caratterizzati da una maggiore varietà e lunghezza (858 pagine contro le 442 del presente volume), con la partecipazione di trentotto studiosi di diverse nazionalità (e, ironia della sorte, l’assenza di Castagnoli). Con un paio di eccezioni, nel presente volume compaiono solo studiosi italiani e francesi, in particolare allievi di Castagnoli ed ex membri dell’Ècole française de Rome: un gruppo chiuso che lascia fuori diversi siti archeologici e approcci metodologici (per esempio, sulla progettazione architettonica e sulle tecniche costruttive). Gli atti del nuovo convegno, oltre a presentare i risultati acquisiti dalle ricerche condotte a Roma nel trentennio 1987-2018, presentano un intervallo cronologico più ampio che va dalla protostoria al tardoantico. Inoltre, rispetto a trentacinque anni prima c’è un allargamento dei temi, un maggior approfondimento e una diversificazione nell’approccio alle fonti letterarie e ai resti archeologici (basti pensare all’avvento dell’era digitale): infatti vengono introdotti i concetti di « digital turn » e di « spatial turn ». Si passa dalla topografia/archeologia alla storia urbana che comunque, dal punto di vista architettonico e urbanistico, era già stata affrontata dall’architetto Saverio Muratori con i suoi Studi per un’operante storia urbana di Roma nel 1963. L’introduzione dei quattro curatori, incentrata sulla figura di Castagnoli e sul convegno l’Urbs, è seguita da un doppio preambolo. Royo, soffermandosi ulteriormente sul convegno del 1985, sottolinea il passaggio da spazio urbano a territorio e da monumento a percorso monumentale. Inoltre discute i concetti di scavo, restauro e valorizzazione: bisogna non solo scavare ma anche conservare e valorizzare, come si vede bene ai Fori Imperiali, ancora in cerca di un’integrazione con la città contemporanea. Muzzioli ricorda la figura di Castagnoli e, in particolare, le sue raccolte di dati, gli approfondimenti topografici e le ricostruzioni urbanistiche. Va anticipato che, nel resto del volume, l’eredità di Castagnoli sembra essersi dispersa.

Il volume entra nel vivo con la prima di tre sezioni, costituita da sette saggi e dedicata alle fonti e ad alcune questioni di metodo. Palombi dapprima passa in rassegna i protagonisti delle ricerche archeologiche romane a partire dal XIX secolo, con un accento su Rodolfo Lanciani, ed evidenzia l’interdipendenza tra fonti archeologiche e letterarie, attestata dalla Carta Archeologica di Roma (1962-1977) e dai Fontes (1952‑1969) di Giuseppe Lugli. Poi si sofferma su Castagnoli e sul ruolo innovativo delle ricerche di Coarelli, sul LTUR e su Carandini, oltre che sull’approccio storico-filologico di Wiseman e Ziolkowski. L’autore ravvisa un eccessivo revisionismo e decostruzionismo nello studio dei monumenti. Inoltre evidenzia il passaggio, nel trentennio passato, da architettura e urbanistica a spazio urbano e storia fino ad archeologia e storia urbana; auspica infine un nuovo rapporto tra fonti letterarie a archeologiche, grazie a nuovi scavi e tecnologie. Gregori e Orlandi esaminano le diverse tipologie di informazioni fornite dalle epigrafi. La prima parte del saggio è una rassegna del contributo alla topografia di Roma negli ultimi trent’anni, sulla base di qualche esempio concreto; la seconda parte esamina le domus e le attività commerciali, artigianali e finanziarie. Orlandi cita le iscrizioni dall’area sacra presso la Meta Sudans e, nel caso di complessi architettonici ben noti, il corredo epigrafico del Mausoleo di Augusto e del Colosseo. Inoltre sottolinea il contributo della documentazione d’archivio, il ruolo di primo piano della Forma Urbis[1], le iscrizioni relative alla viabilità, la miniera d’informazioni costituita dalle iscrizioni sepolcrali, i diplomi militari e i fasti. Si accenna al problema della localizzazione della Praefectura Urbi, alle iscrizioni di smontaggio (come nel pronao del tempio di Marte Ultore) e alle iscrizione false. Gregori si concentra sulle iscrizioni delle fistule, sottolineando che i legami con i proprietari delle domus sono spesso congetturali. Si spazia dal Quirinale all’Aventino per concludere con i banchieri del Foro Boario. Con un taglio forse eccessivamente autobiografico, anche D’Alessio passa in rassegna le tappe più significative della ricerca archeologica negli ultimi trenta anni, sottolineando il ruolo dei suoi maestri, da Coarelli a Carandini, da Pensabene a Giuliani. L’autore discute l’improbabile ricostruzione della Casa di Augusto, il caso del presunto Muro di Romolo ed i tentativi di localizzazione del tempio di Giove Statore, collocato un po’ dappertutto nell’area a est del Foro Romano. De Cristofaro discute di topografia ed iconologia, di metodi e orientamenti della ricerca, anche con considerazioni sull’archeologia preventiva. Per il suo carattere teorico è l’unico saggio del volume senza illustrazioni. L’autore distingue la topografia come significante – antiquaria e storicistica – e la topografia come significato. Evidenzia il potenziale semantico ed il portato simbolico dell’architettura nell’ambito della percezione e della fruizione dello spazio, citando le interpretazioni forzate di alcuni progetti, come nel caso dell’Ara Pacis, del Mausoleo e dell’Horologium di Augusto o il reimpiego di rilievi più antichi nell’Arco di Costantino nell’ambito dei messaggi visivi. A p. 95 c’è un’interessante riflessione sui « luoghi della memoria » della Roma primitiva, particolarmente importanti nella storia urbana e politica della tarda Repubblica; le fonti antiquarie ne testimoniano l’esistenza quale presenza fisica nel corpo urbano, enfatizzandone l’importanza simbolica, ma è impossibile provarne l’esistenza materiale (come nel caso del pomerio romuleo). Non si può non condividere che, nel caso di molte ricerche dal mondo anglosassone, si ha l’impressione che la città faccia da sfondo a « divagazioni non sempre scientificamente fondate » (p. 93). De Caprariis analizza la pianta marmorea severiana (a questo proposito, va segnalata l’apertura del nuovo Museo della Forma Urbis all’inizio del 2024) e, in particolare, si sofferma sui Saepta Iulia rappresentati sulle lastre 35 e 36. In realtà il saggio spazia dal Campo Marzio ai limiti della città, sebbene la pianta marmorea escluda una zona ricca di interventi edilizi di età severiana tra le future Terme di Caracalla e il Laterano. L’autrice discute la funzione della Forma Urbis (per la quale, come al nuovo museo, si esclude qualsiasi legame con il catasto), anche in considerazione di un possibile precedente flavio andato distrutto nell’incendio del Tempio della Pace del 192 d.C. In un saggio sui disegni rinascimentali di antichità, Liverani evidenzia la necessità di competenze storico-artistiche per il loro utilizzo nella ricostruzione della topografia di Roma antica. Vengono giustamente condannati i difetti di un mondo accademico che presenta evidenti storture per quanto riguarda le pubblicazioni e, in Italia, « un sistema distorto di valutazione della ricerca » (una questione che annovera lo stesso Liverani tra i protagonisti). Vengono proposti due esempi di segno opposto: il primo, negativo, è relativo a un impiego maldestro (da parte di Kalas) di un disegno di Antonio da Sangallo il Giovane dell’area della Curia Senatus, nel quale non si è distinto l’apporto progettuale dell’architetto rinascimentale. L’esempio positivo riguarda il Tempio del Sole di Aureliano, con l’apporto del f. 55v del Codice Destailleur B dell’Ermitage di recente pubblicazione. Tuttavia l’autore non considera il foglio 56r, che mostra gli elevati dello stesso edificio, commettendo un banale errore di metodo nonostante i buoni propositi. Limitatamente alla pianta, basti pensare al f. 106r dello stesso codice, che mostra l’interno della basilica dei SS. Cosma e Damiano completamente deformato. Alla fine di questa prima sezione, Fleury e Madeleine presentano il modello di Roma antica di Paul Bigot conservato presso l’Université de Caen Normandie, dove negli ultimi anni si è messa a punto una fedele restituzione virtuale della città nel IV secolo d.C. I due autori sottolineano l’utilità della realtà virtuale nello studio della topografia e prendono in considerazione due casi: il Campidoglio visto dal Foro Romano e il tempio del Divo Traiano, la cui localizzazione è ormai confermata a nord della Colonna Traiana dagli studi di Baldassarri. Nel primo caso, i due autori recepiscono una recente proposta di Coarelli (in realtà non del tutto condivisibile) ed evidenziano le relazioni alla scala urbana dei templi di Venus Victrix sul Teatro di Pompeo, di Venus Genetrix nel Foro di Cesare e di nuovo di Venus Victrix sul cosiddetto Tabularium, con il tempio adrianeo di Venere e Roma verso est.

La seconda parte del volume è dedicata a luoghi e contesti dell’antica Roma, a cominciare dai colli principali (Campidoglio, Palatino e Aventino), ed è costituita da otto contributi. Ovviamente gli argomenti trattati non prendono in considerazione tutte le scoperte sul terreno degli ultimi trent’anni: si ravvisano lacune (per esempio, mancano la cenatio rotunda sul Palatino e i Fori Imperiali) e l’assenza di un bilancio complessivo. Purcell discute la relazione topografica e funzionale tra il Foro Romano e il Campidoglio (in particolare l’Area Capitolina) nel periodo medio repubblicano. La sua rassegna riguarda la spazialità del Foro negli anni 338-280 a.C. ed evidenzia l’apporto del mondo greco. Il rapporto tra il Foro e il Campidoglio ebbe una grande influenza sulla vita pubblica fino all’età augustea. L’autore accetta acriticamente la ricostruzione del tempio di Giove Ottimo Massimo di Hopkins, che lo ha immaginato « across the whole area of the platform » (p. 153), implicitamente evidenziando un cortocircuito: uno storico e uno storico dell’arte, non esperti di architettura, che si spalleggiano a vicenda. Tra l’altro l’autore cita vari esempi di Capitolia nel mondo romano, da Formia a Uchi Maius, che si rifanno a una più recente proposta di ricostruzione del tempio Capitolino, collocato su una parte della piattaforma in blocchi di cappellaccio e circondato da un portico[2], per giunta dopo aver affermato che i « temples of the Capitoline cult known archaeologically are indeed frequently located in colonnaded enclosures » (p. 161). Pflug descrive le fasi edilizie del palazzo imperiale sul Palatino, anche con l’ausilio di nuove ricostruzioni in 3D, per concludere che non si trattava di un contromodello della Domus Aurea di Nerone. Da sottolineare come la facciata nord della Domus Flavia ricordasse la nuova proposta ricostruttiva del tempio domizianeo di Giove Capitolino, parzialmente coperto da un portico. Il saggio è un po’ troppo focalizzato sul palazzo imperiale e in generale appare un po’ a sè stante: tuttavia l’analisi è dettagliata e il testo è riccamente illustrato. Quaranta e Capodiferro ripercorrono la storia edilizia dell’Aventino, sottolineando come le fonti letterarie citino prevalentemente templi che, di fatto, non sono stati ancora identificati (alcuni sono rappresentati sulla Forma Urbis), mentre sono venute alla luce diverse residenze aristocratiche. Le autrici presentano le novità degli scavi recenti e si concentrano sulle domus realizzate su criptoportici, elencate nella tabella finale. Sarebbe stata utile almeno una planimetria del colle. Con Ten si passa nuovamente al Campo Marzio, dove l’autrice ricostruisce un edificio monumentale situato a est del Pantheon (notando che Gros vi aveva ipotizzato l’esistenza di una sorta di foro imperiale adrianeo). La struttura del cosiddetto arco di Giano alla Minerva ubicato sul lato est dei Saepta, in una zona lacunosa della Forma Urbis, ma noto da uno schizzo di Antonio da Sangallo il Giovane e rintracciato nel 1872, è giudicata inverosimile. Il riesame della lettura dei resti architettonici proposta da Gatti salva solo la datazione di età adrianea basata sui bolli laterizi. In pianta viene evidenziato il modulo costituito da una volta a crociera impostata su quattro piloni scavati e, in base all’allineamento con il transetto della chiesa medievale di Santa Maria sopra Minerva, viene ipotizzato un raddoppio del presunto arco quadrifronte (che non sarebbe stato un arco) verso nord, proprio sull’area del transetto della chiesa. La funzione di questo presunto edificio colossale senza nome non è precisata. L’area non corrisponde ai Saepta Iulia, per cui bisognerebbe mettere in conto importanti trasformazioni avvenute nella prima metà del II secolo d.C. L’autrice afferma che « non sussistono dubbi » sull’esistenza di questo edificio ma, in realtà, la sua sembra essere una ricostruzione forzata. Chillet ritorna sui colli di Roma (escludendo i tre trattati nei saggi precedenti) e ne esamina il ruolo nella storia urbana, spaziando dall’orografia ai limiti della città, allo stesso tempo analizzando le zone di produzione economica, la distribuzione dell’abitato e la circolazione. L’autore evidenzia la forte carica simbolica dei colli, associati al potere. Sulla stessa scia, e forse da anteporre al saggio precedente, De Santis analizza in modo più scientifico la morfologia del sito di Roma, con una particolare attenzione al Foro Romano: l’autrice propone una nuova interpretazione dei dati archeologici relativi alle fasi più antiche della città, con un’indagine sui sepolcreti e sugli impianti produttivi. Concludono questa seconda sezione due saggi che fanno fare al lettore un marcato salto cronologico. Spera propone un bilancio delle ricerche relative alla Roma cristiana effettuate negli ultimi trenta anni (« Dopo Krautheimer ») e le possibili prospettive di studio, auspicando una conoscenza globale e dettagliata. L’autrice sottolinea che l’archeologia cristiana non era trattata nel convegno L’Urbs del 1985, che invece prediligeva la città imperiale. Inoltre esamina la cristianizzazione degli spazi e l’urbanistica tardoantica con un particolare accento sul Laterano (p. 261), in realtà meno isolato di quanto pensasse Krautheimer. Santangeli Valenzani presenta un sommario degli studi su Roma tardoantica e si concentra su demografia ed economia della città; tra i due estremi di catastrofe e continuità, ravvisa una riduzione della popolazione rispetto al IV secolo d.C., con il conseguente degrado delle infrastrutture e l’abbandono di varie zone ma la tenuta delle strade. A suo avviso Krautheimer trattava solo le chiese ipotizzando un’ampia area di disabitato, smentita dalle ricerche successive. L’autore conclude evidenziando la nuova forza economica della città, con l’insediamento di attività produttive nel centro monumentale, e un cospicuo flusso di merci ancora alla fine del VII secolo.

La terza sezione del volume comprende altri otto saggi dedicati ai nuovi approcci relativi alla storia urbana. Più che gli edifici, è il modo in cui questi erano vissuti a essere considerati, privilegiando gli aspetti religiosi e politici oltre che le esperienze sensoriali. Bertrand ed Estienne esaminano riti, processioni, cerimonie e luoghi di culto (inclusi i santuari extraurbani), sottolineando il passaggio dal concetto di spazio urbano a quello di paesaggio religioso, che appare più dinamico e integrato (oltre che alla moda: vedi « spatial turn » e « ritual turn »). In definitiva si passa dal tempio (architettura) al luogo di culto (rito e società): in questo modo, i primi escono dall’isolamento. Muovendo dalla religione alla politica, Rosillo-López e Pina Polo discutono gli scenari istituzionali ed i luoghi minori di diffusione di notizie nella società romana. Il comitium, in disaccordo con Coarelli, non è considerato un templum e non vi vengono ravvisate relazioni con precedenti greci. Il saggio copre varie parti della città: dai monumenti del Foro Romano al Circo Flaminio fino alle taberne dei barbieri, ovvero i luoghi in cui si generava e si diffondeva l’informazione. Rosso considera la celebrazione del potere in età imperiale sulla base dei cortei e dei monumenti e, in particolare, le manifestazioni effimere e multisensoriali, oltre che lo spazio urbano come luogo di memoria (o di damnatio memoriae) – da notare che a p. 326 n. 58 il ianus positus della Tabula Siarensis è superato[3] – e i destinatari della propaganda e dell’autocelebrazione imperiale. Bruun affronta la questione dell’approvvigionamento (acqua e merci), delle infrastrutture e dei trasporti, sottolineando il ruolo del suburbium e la localizzazione della cinta daziaria. Tra le novità, per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico, l’autore segnala le rotae aquariae ed il bacino idrico venuto alla luce fuori porta San Giovanni in Laterano durante i lavori per la Metro C (nella cui stazione sono esposti alcuni esempi di tubazioni in terracotta). L’autore ipotizza che viaggiassero meno merci di quanto immaginato finora e che a Roma, di conseguenza, ci fossero meno abitanti. La traduzione italiana non è impeccabile (come nel caso di Purcell, il testo poteva essere pubblicato in inglese). Davoine propone una breve rassegna delle fonti giuridiche relative alle costruzioni e allo spazio urbano, al reimpiego e agli scarichi, trattando non solo di cantieri ma anche di economia e società. Gli aspetti residenziali non vennero particolarmente trattati nel convegno L’Urbs del 1985 e così Courrier e Guilhembet colmano questa lacuna e aggiornano il quadro tra il II secolo a.C. ed il II secolo d.C., anche sulla base di autori come Marziale. Gli autori lamentano il poco rinnovamento documentario, ma non considerano i frammenti 538a-o del Quirinale o la domus dell’Aracoeli, oltre alle recenti scoperte sull’Aventino, alle quali vanno ora aggiunti i resti con decorazione musiva di età repubblicana dall’area degli Horrea Agrippiana. A p. 369 i due autori auspicano non più monografie « pompeiane », nelle quali le case sono analizzate al di fuori dal loro contesto urbano, a favore di un esame delle relazioni con il resto del mondo. Tran si sofferma sul commercio e, in particolare, sulle associazioni professionali di Roma e Ostia analizzando tabernae e horrea. Il suo saggio evidenzia la visibilità del lavoro soprattutto nel campo dell’edilizia. Si adegua a una tendenza recente, cioè lo studio socio-economico del mondo della taberna. Il saggio di Vincent conclude gli atti del convegno discutendo la storia dei sensi, sottolineando l’arricchimento delle nostre conoscenze grazie alla « sensual revolution » e ai « sensory studies ». Per sondare alcuni eventi, unici o rituali, l’autore sceglie gli edifici di spettacolo e in particolare il Circo Massimo, con i sapori e gli odori che dovevano caratterizzarne la frequentazione quotidiana. Infine auspica il ricorso alla realtà virtuale con l’inserzione dei suoni per un’immersione totale nell’antica Roma

La postfazione di Pierre Gros costituisce una sorta di pre-recensione degli atti del convegno ed è molto utile per conoscere il suo punto di vista, che è largamente positivo. Chiudono il volume una serie di indici (delle fonti, dei nomi, storiografico), seguiti da un indice topografico (per Roma), geografico (fuori Roma) e delle materie. Seguono i riassunti dei contributi ed il vero e proprio sommario degli atti del convegno. Il volume riflette lo stato della disciplina, controversie incluse, e affronta quasi ogni aspetto dell’antica Roma. Dunque è indispensabile per essere al corrente dei temi di ricerca più attuali; tuttavia, è anche caratterizzato da ripetizioni e risulta un po’ pretenzioso e dispersivo a causa dei diversi argomenti trattati, probabilmente difficili da raggruppare in tre sezioni. Ad ogni modo, alcuni contributi saranno utili soprattutto per la panoramica che offrono nel rispettivo campo di studi, con la relativa bibliografia, mentre altri, più originali e meditati, saranno di stimolo alle ricerche da condurre nei prossimi anni.

 

Pier Luigi Tucci

Publié dans le fascicule 1 tome 126, 2024, p. 299-305.

 

[1]. Vedi ora Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma 124, 2023, p. 15-45 sul circo Flaminio.

[2]. Vedi K. Kaderka, P. L. Tucci, « The Capitoline Temple of Jupiter. The Best, the Greatest, but not Colossal », RM 127, 2021, p. 146-187.

[3]. Vedi Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma 124, 2023, p. 15-45.