Frutto di un ampio lavoro di tesi dottorale, sostenuta all’Université Paris IV Sorbonne nel 2002, e di un costante lavoro di ricerca successivo, il volume di Sébastien Barbara è poderoso e straordinariamente ricco negli assi di ricerca, che spaziano dalla filologia, all’antiquaria, alla storia e all’archeologia, sorretti tutti da un’indagine minuziosa e inesausta. L’oggetto del libro è l’itinerario eroico di Diomede nella sua parabola post-iliadica, all’indomani del ritorno ad Argo e dell’esilio, nella nuova campitura mitica che lo vedrà guerreggiare in Daunia contro il dinasta eponimo. Il titolo, Diomède outre-mer. Sur les traces d’un héros grec en Occident, rende ragione dell’itinerario arduo e coraggioso compiuto da Barbara: ridisegnare il destino mitico di Diomede all’indomani della guerra di Troia, attraverso una vertiginosa mole di fonti, padroneggiate con rigore. Barbara suddivide la materia straordinariamente ampia della sua indagine, al crocevia di più generi (dal mito dell’epos, alle storie di fondazioni, ai culti, alla rassegna dei siti coinvolti), in quattro ampie sezioni: all’introduzione segue una prima parte dedicata al viaggio di Diomede da Troia all’Esperia, articolata in tre capitoli: Le retour à Argos, L’exil de Diomède, Autour d’une hypothétique “odyssée” de Diomède. La seconda parte, dedicata alle leggende di fondazione di Diomede in Italia, ospita un primo capitolo ruotante intorno all’arrivo dell’eroe nel sud della penisola e alle varianti del racconto della sua morte. Una porzione di commento considerevole è consacrata al mitema della metamorfosi dei compagni di Diomede e alla lettura dello scontro tra l’eroe e Dauno. Il capitolo II prende in esame le fondazioni italiche, intrecciate ai dati archeologici e allo studio dei siti di Arpi, Campus Diomedis, Canusium (Canosa), Diomedeia, Salapia, Sipontum (Siponto). Nel III capitolo B. analizza le tradizioni secondarie in Italia relative a Diomede, con un focus specifico sulle tradizioni apule, sui rapporti tra la leggenda di Diomede, il Sannio e il Delta del Po. La terza parte inquadra i culti del Tidide in Italia meridionale e nelle cosiddette isole diomedee, ad Arpi, Taranto e Metaponto e nel nord dell’Adriatico, con un focus comparativo molto preciso con il culto di Achille nel Mar Nero. La quarta sezione, Rome et la légende de Diomède en Italie, sventaglia, nelle maglie di un’analisi robusta, le varianti mitiche diomedee nel mondo romano. Un primo capitolo investiga l’incontro di Roma con la figura dell’eroe nella conquista dell’Italia meridionale e rilegge coerentemente le tracce letterarie latine che ne reinterpretano il ruolo nella cornice della seconda guerra punica. Il secondo capitolo insegue Diomede nel Lazio, nel gioco della rilettura tutta romana del motivo del Palladio e della dialettica eroica Enea-Diomede. La chiusura della sezione, nel terzo capitolo intitolato Diomède dans la littérature latine de l’époque impériale, è affidata allo studio della figura di Diomede nella letteratura augustea e in quella post-virgiliana. L’epilogo ripercorre l’excursus boccaciano della genealogia deorum gentilium. La conclusione è seguita da una ricchissima bibliografia (p. 747-825), nella quale è difficile segnalare qualche omissione (per le pochissime integrazioni, vedi infra). Gli indici tematici sono accuratissimi (Textes anciens, Noms mythologiques, noms historiques, index géographique, auteurs modernes), così come completo appare il dossier iconografico che chiude l’opera. Sarebbe impossibile, tenuto conto della mole del volume e delle intersezioni proposte (talvolta, forse, inutilmente ripetute e questo può essere forse ascritto come l’unico limite di rilievo del testo), restituire il giusto peso a ciascuna sezione e all’esame lenticolare delle fonti che Barbara propone, mi limiterò, quindi a sagomare l’intelaiatura generale.
La prefazione accenna allo status quaestionis relativo al “dossier” mitografico relativo a Diomede, che, se si eccettua la ben radicata tradizione apula, appare disperso in un corpus frammentario e in una serie di testi contrassegnati da un décalage cronologico anche marcato e di non facile lettura. La ricostruzione puntigliosa di questo dossier stratificato giustifica l’architettura concettuale dell’opera, ma a fornire la chiave di volta del volume è la passione che Barbara dichiara fin da subito per questo eroe iliadico dalle mille vite (un travail de recherche conçu presqu’à pueritia, sous l’effet d’un engouement assez naïf et déraisonnable, p. 9): se l’esercizio esegetico è rigorosissimo, la passione giovanile percorre il testo in ogni sua pagina.
L’introduzione segue l’arco di evoluzione del personaggio, dalla “vita” omerica al viaggio italiano. Il retroterra iliadico è ripercorso a partire dal nome, sospeso tra teonimo e antroponimo. Diomede, chiarisce Barbara (p. 17), incarna idealmente la seconda generazione della stirpe degli eroi esiodea e in Omero riveste un ruolo di primo piano che mette in ombra l’hybris paterna.
Barbara recupera la ricerca ottocentesca di un archetipo tracio (omonimia con il re dei Bistoni, p. 19), spesso fuorviante, e l’ipotesi di una priorità e di una primazia dell’eroe argivo, si concentra sui rapporti cronologici tra la generazione diomedea e quella tebana (cf. Iliade IV, 404-10), sull’hippotrophia, sul legame con i Dioscuri e con Zeus. L’immagine iliadica è quella di un doppio positivo di Ares al quale Diomede si oppone nel teatro della guerra di Troia, in un gioco di prossimità e opposizione. Eroe “eletto” di Omero, Diomede subisce un declino progressivo e le avventure “italiche” del personaggio restano marginali rispetto alla fissazione del carattere eroico ottenuta dall’epopea omerica (p. 22), che lo staglia come un personaggio essenzialmente doppio (etolico per parte di padre e argivo per parte di madre, Deifile). La sovranità su Argo, secondo il dettato del catalogo delle navi (Il. II, 563), l’ombra del padre Tideo in Omero, non fosse altro che per la ridondante ripetizione del patronimico, la componente etolica e la forte connotazione guerriera e nobile, sono riguardati in rapporto ai suoi caratteri più ambigui, come l’empietà o il menos difficilmente contenibile (vedi ferimento di Afrodite, Il. V, 311-54, 846‑887).
Ben inquadrato è lo scarto tra la cornice omerica e la biografia eroica all’indomani della guerra di Troia. Dal terzo libro dell’Odissea si ricava, infatti, il racconto del ritorno in patria di Nestore e Diomede (Od. III, 177-179), ultima menzione dell’eroe, che non compare nella Nekyia; sembrerebbe di poter dedurre che Omero non conosca le vicende di Argo e l’esilio in Italia, dal momento che, come giustamente sottolinea l’autore, è difficile dare un valore premonitore alle parole di Dione ad Afrodite sulla vita breve di Diomede (Il. V,406-415). Nel passo omerico non si trae indicazione alcuna di un ruolo negativo di Egialea, così come nella rievocazione della trappola del cavallo (Odissea, IV, 280-4). Per Barbara c’è uno iato consistente tra la narrazione omerica e le avventure italiche, contrassegnate da un mélange di elementi indigeni e greci, all’interno della cornice più ampia dei miti acheo-troiani magno-greci. Analogie si possono istituire con la costola italiana del mito di Filottete, anche in virtù dell’identità di fonti per i due eroi (Pseudo-Aristotele, Strabone, Licofrone e Giustino), fino alla matrice comune di Timeo di Tauromenio, nonostante la leggenda di Diomede sembri più ricca e più antica. Le coste adriatiche vengono a costituire anche il termine di una rotta di viaggio, grazie a un legame di interesse con l’elemento indigeno (p. 32), e l’occasione per Diomede di trasformarsi in un eroe coloniale o di frontiera. La lunga storia degli studi relativa all’eroe è riassunta efficacemente a partire dall’ edizione dell’Eneide di Heyne (1787), che inaugura una duratura interpretatio graeca, secondo la quale il Diomede apulo sarebbe stato un dio o un eroe indigeno identificato con il re argivo dell’epopea dai Greci entrati in contatto con i Dauni. La conquista di uno spazio di indagine autonoma sulla Magna Grecia si sarebbe ottenuta grazie agli studi di Pais e Ciaceri, con la progressiva individuazione di tre direttrici di provenienza del mito di Diomede: trezenia, corinzia, rodia, fino ad arrivare alla tesi di J. Bérard a fine anni Cinquanta, con una sostanziale presa di distanza delle teorie tradizionali, in difesa del culto indigeno. Le tappe più recenti degli studi, da Lepore, negli anni ‘60, con la rilevante sottolineatura del ruolo illirico, a Braccesi e Coppola, per la tesi di un’influenza siracusana, a Musti, per il rilancio del determinante contributo corinzio, al filone daunio degli ultimi anni sono riproposte nella sintesi conclusiva dell’introduzione, che giustifica le mosse di uno studio globale.
Così, nell’ampia ricostruzione delle fonti epiche greche, Barbara si sofferma sul cespite di tradizioni dedicate al ritorno dell’eroe ad Argo, fissato già nell’Odissea, e al complesso di pratiche e culti argivi (p. 63). I tratti del mito epico (protezione di Atena, ira e vendetta di Afrodite, ferita dall’eroe nell’aristia del V libro dell’Iliade, ritorno ad Argo e rovescio “domestico” dell’eroe) sono “continuati” nella tradizione successiva, secondo un ordine narrativo più o meno coerente. Il capitolo dedicato all’esilio di Diomede ripercorre analiticamente la testimonianza cruciale di Mimnermo, trasmessa da uno scolio a Licofrone (fr. 17 Gentili-Prato, sch. Lyc. 610) e probabilmente inserita originariamente nella Nannò, che sembra confermarsi come l’attestazione più antica della presenza dell’eroe in Italia e come il tramite della tradizione posteriore ai nostoi sul destino dell’eroe. Il dettaglio del tradimento di Egialea è poi ripreso da Antimaco, da Licofrone nell’Alessandra, pur in presenza di qualche variante (610 ss.) e da Antonino Liberale, con una deviazione vistosa rispetto al racconto tradizionale. Le varianti del mito offrono un pattern spesso più razionalizzante in rapporto all’esilio e all’arrivo in Italia, come mostra soprattutto il racconto diodoreo, che rescinde il legame tradizionale con la vendetta di Afrodite e colloca il complotto di Egialea nella dimensione dell’oikos, in un ordine causale ormai indipendente dal racconto omerico. Lo spazio geografico dell’esilio argivo, se pone l’eroe in una situazione tipica dei nostoi, non sembra configurare i margini di una vera e propria Odissea di Diomede. Le peregrinazioni in qualche modo rintracciabili dalle fonti portano Diomede tra gli Iberi, i Libi e nella Feacide, ma si tratta di tradizioni secondarie non risalenti agli autori dei nostoi, che pongono la difficoltà di ricostruire la linea temporale della rotta di viaggio. Nel caso della parentesi libica, Barbara riconduce correttamente la tradizione narrativa a Giuba II – trasmessa poi da Plutarco nei Parallela – che avrebbe immaginato un passaggio in Libia di Diomede, presso la corte del re Lykos, votato all’uccisione degli stranieri sbarcati nella sua terra. L’eroe sarebbe quindi stato salvato dalla figlia del re, Calliroe. La vicenda libica sembra essere isolata nella ligne post-omerica, ma fornisce paralleli evidenti rispetto allo spezzone mitico di ambientazione italica, al centro dei capitoli della seconda parte del testo. La tessitura della vicenda muove dalla rilettura sapiente delle sezioni dell’Alessandra, dipendenti dalla fonte certa di Lico di Reggio e da quella fortemente probabile di Timeo, che occupano i versi 592-632, dai quali Barbara (p. 135 s.) deduce un’articolazione narrativa sviluppata attorno agli avvenimenti che precedono l’esilio dell’eroe (610-14), allo sbarco in Apulia (615-18), all’alleanza con Dauno e alla fondazione di Argyrippa (592-93), all’episodio delle stele, alla disputa con il re della terra apula e al litigio-tradimento con il fratello Ainos, cui segue la maledizione da parte dell’eroe, la deposizione delle stele e la sua morte. Licrofrone inquadra poi il trasporto di Diomede sulle isole eponime da parte dei compagni, la divinizzazione dell’eroe e la metamorfosi dei suoi in uccelli (594-609), fino all’istituzione del culto “adriatico” dell’eroe, evocato ai versi 630-31. La lunga sezione “diomedea” dell’Alessandra permette di cogliere, pur in una dizione che resta oscura e nella quale l’ordine degli eventi è lontano dall’essere linearmente ricostruibile, alcuni aspetti fondamentali della vicenda diomedea che presentano paralleli ricorrenti, riconducibili almeno in parte allo schema del “nostos infelice” (cfr. soprattutto i lavori di A. Camerotto). Se lo sbarco in una terra straniera e l’incontro con un re barbaro, prima alleato e poi nemico, sono mitemi comuni, solo nel caso di Diomede si può isolare, nella partitura licofronea, il dettaglio delle pietre di ancoraggio provenienti da Troia (615-18), che di lì a poco sono trasformate dall’eroe in stele, dettaglio che si lascia verosimilmente ricondurre a un’origine storiografica e non epica e a un contesto locale. Barbara mostra nitidamente le difficoltà relative all’innesto di più componenti nel mito (il rapporto tra l’elemento argivo e quello etolico ne è solo un esempio). Nella vicenda del tradimento di Dauno, il particolare narrativo della deposizione delle stele, che diventano cippi perenni e inamovibili (p. 172 ss.), mostra la volontà dell’eroe di riattualizzare senza posa i simboli della sua passata grandezza e offre un’eziologia dei cippi di confine. I tratti di violenza, che la lettura del frammento di Mimnermo permetteva già di isolare, pur nella cornice più squisitamente erotica, si rinnovano nella vicenda nebulosa della morte di Diomede, episodio dai contorni oscuri ma univocamente attribuito alla responsabilità di Dauno nelle fonti. Le stele sono correttamente interpetrate come un’allusione alla componente culturale daunia, riassunta a partire da un’origine greca e nobilitante.
Barbara segue l’itinerario di modificazione della leggenda arcaica nelle versioni successive, che mostrano progressivamente l’attenuazione del motivo della rivalità tra Diomede e Dauno e della responsabilità di quest’ultimo nella morte dell’eroe (cfr. Polieno e Antonino Liberale). Proprio la versione di Antonino Liberale (p. 201 ss.) permette di vedere in atto la progressiva “ellenizzazione” della componente indigena daunia, con il dirottamento della quota di violenza e di perfidia barbara sugli Illiri, come avverrà anche in Servio, che sembra riflettere il contesto storico mutato e la probabile allusione alla minaccia rappresentata dalla pirateria illirica a partire dal III secolo a.C.
Nella ricostruzione del contesto daunio, una sezione importante è dedicata alla metamorfosi dei compagni di Diomede, variamente collocata prima o dopo la morte dell’eroe e intessuta con i realia e con le notizie erudite relative alle specie ornitologiche dell’Adriatico. Se la fonte primaria dell’episodio sembra ancora una volta individuabile in Lico di Reggio, la narrazione di Licofrone è integrata a quella di Virgilio, Ovidio, Stefano di Bisanzio, Agostino e Antonino Liberale.
Ben discussa appare anche la documentazione archeologica della cultura daunia, a partire dal geometrico-iapigio, nei suoi intrecci con quella dalmata ed epirota e nel disegno che vedrà alla fine la Daunia assorbita nel territorio apulo e legata al destino romano. Le conclusioni di Barbara (p. 267 e 273, forse ancora una volta meglio sintetizzabili), sulla natura “complessa” del Diomede italico, mi sembrano convincenti e ben ragionate proprio rispetto ai motivi interagenti: “l’estensione ad occidente e l’estensione dell’occidente medesimo, lo sviluppo dei miti eroici omerici e la recezione omerica nel milieu ionico e in Magna Grecia, l’incontro con l’elemento autoctono inizialmente ostile al modello eroico, avvertito come una marca di ellenizzazione, ma poi aperto alla sua assimilazione”. Il capitolo dedicato alle fondazioni di Diomede in Italia, così come quello incentrato sulle tradizioni secondarie (p. 275-420), copre tanto la documentazione letteraria quanto quella archeologica, mentre la ricostruzione cultuale tiene conto dell’apparente eccentricità della figura di Diomede, privo di genitori divini e cionondimeno destinatario di un culto, probabilmente già a partire dal V secolo a.C. Fonte privilegiata per la divinizzazione di Diomede è ancora una volta Timeo, ma è già Pindaro a dare rilievo nella X Nemea all’immortalità dell’eroe, pur senza alcun legame con lo spezzone daunio della biografia di quest’ultimo e, probabilmente, il motivo era già presente nella Tebaide (p. 427) ed è riconfermato da Ibico, che lega il destino di Diomede a Ermione, riverberando i buoni rapporti tra Argo e Sparta. Nel contesto arcaico si aggiunge la fonte del canto di Callistrato, che contribuisce a fare della divinizzazione di Diomede un momento sospeso tra idealizzazione del modello monarchico e demonizzazione antitirannica. Barbara ritesse le tradizioni arcaiche, evidenziandone a buon diritto l’incompatibilità e recuperando poi l’asse della narrazione “daunia”, con la nuova localizzazione delle isole diomedee (ottima la sintesi dei rapporti di concorrenza geografica tra le Tremiti, centro cultuale privilegiato, e l’isola di Palagruža, p. 457 ss.) e il nuovo status di Diomede, eroe “pan-adriatico”, con uno sviluppo cultuale analogo a quello di Achille nel Mar Nero (p. 460 ss.). L’analisi dei due eroi, “seigneurs des mers tributaires” (p. 524), ha il merito di fissare l’isola di Diomede come il pendant occidentale dell’isola di Achille (p. 528) e di ricavare lo spazio specifico del culto diomedeo, assente in Grecia e radicato in Italia, proprio in rapporto alla continuità narrativa della biografia di un eroe epico. La sezione dedicata alla recezione di Diomede del Lazio integra perfettamente la nuova indagine ai gangli principali dell’analisi, ritessendo la documentazione relativa alla progressiva “romanizzazione” della figura di Diomede, meno presente di altri eroi nel contesto latino, ma tuttavia recuperato dalle fonti in maniera organica, soprattutto durante l’epoca imperiale, quando la dialettica Enea‑Diomede può essere utilmente reimpiegata. Segnalo due sviste bibliografiche minori: lo studio di Capdeville, in ogni caso presente in bibliografia, Diomede ed Antenore, rivali letterari ed ideologici di Enea, nei Mélanges de l’École française de Rome del 2017, ben integrabile all’argomentazione di Barbara sulla produzione letteraria “alternativa” alla lettura virgiliana (vedi soprattutto pp. 628‑29) e quello di Laura Aresi del 2019, Il viaggio d’Enea nelle Metamorfosi d’Ovidio: distruzione o moltiplicazione di un mito? nel volume degli atti Eneas. La trayectoria transatlántica de un mito fundacional. Si tratta, tuttavia, di sviste veniali, in un lavoro monumentale e in un’opera di straordinario rigore metodologico, che, al taglio alto e filologicamente ineccepibile, mescola il gusto dell’indagine tra spazio letterario, spazio archeologico e spazio reale.
Paola Schirripa, Milano
Publié dans le fascicule 1 tome 127, 2025, p. 277-282