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Nell’ambito della pubblicazione della Storia romana di Cassio Dione da parte della Collection des Universités de France, vede ora la luce il secondo volume dedicato al periodo imperiale, dopo l’uscita, nel 2018, della nuova edizione del libro LIII[1]. Esso comprende gli ultimi tre libri dell’opera, corrispondenti, come Michel Molin sottolinea nell’introduzione (p. VII), al periodo più importante della carriera politica dionea, quello intercorso tra la spedizione di Caracalla contro i Parti nel 216 e il consolato ricoperto insieme all’imperatore Severo Alessandro nel 229. Poiché, a partire dal principato di Commodo, lo storico è anche testimone oculare e spesso protagonista degli eventi narrati, il tema autobiografico si intreccia inevitabilmente alla questione dell’eventuale grado di deformazione subìto dal materiale narrativo a causa del diretto coinvolgimento dell’autore: l’analisi dell’esperienza personale di Dione diviene dunque centrale sia per lo studio di una fase cruciale dell’età severiana sia ai fini di un corretto intendimento dello scritto. Nonostante la sua indubbia importanza, l’unico commento sinora dedicato a questa sezione era stato offerto da A.G. Scott[2], che certamente avrebbe meritato almeno una menzione in bibliografia.

Per i motivi appena ricordati, l’attività politica di Dione costituisce, a ragione, uno dei Leitmotive del volume, opportunamente indagato sia in dense pagine introduttive che nell’ampio corredo di note di accompagnamento al testo. Forte della sua profonda conoscenza della storia d’età imperiale, Michel Molin offre una ricostruzione del cursus dello storico del tutto convincente. Il primo problema sul tappeto, ovviamente connesso a quello delle origini familiari, è la sequenza onomastica: sulla scorta di due rinvenimenti epigrafici (AE 1971, 430; AE 1985, 821), essa viene opportunamente stabilita in Lucius Claudius Cassius Dio, eliminando dunque lo spurio cognomen Cocceianus, esito di un fraintendimento d’età bizantina. Se la questione della data dell’ingresso in senato della famiglia rimane sub iudice, maggiori certezze vengono offerte circa la scala degli honores. Nato a Nicea, in Bitinia, intorno al 162-163, sotto Commodo Dione ricoprì verosimilmente il vigintivirato, la questura (con molta probabilità in una provincia ellenofona) e il tribunato della plebe, fino ad essere nominato pretore da Pertinace (esercitando però la carica solo nel 195). Difficile stabilire se egli abbia poi ottenuto un proconsolato, così come uno o più incarichi di rango pretorio in Italia, prima del suo primo consolato suffetto (nel 207 ca.); ad ogni modo, sono questi gli anni in cui entra nell’entourage di Iulia Domna, sebbene poi non abbia fatto parte dei φίλοι di Caracalla. È con Macrino che la sua ascesa conosce un’accelerazione, con l’assegnazione della curatela di Pergamo e Smirne e forse anche della correttura delle città della provincia d’Asia (p. XXVII), elementi sui quali sinora la critica non aveva particolarmente insistito. Ma è soprattutto la definizione delle ultime tappe della carriera a costituire una vexata quaestio, dal momento che pochi e incerti sono i dati a nostra disposizione: sappiamo solo che, dopo un ritiro in Bitinia per malattia, Dione ricevette un’ἡγεμονία in Africa (da Molin persuasivamente interpretata come il proconsolato della provincia), la nomina di legatus Augusti pro praetore prima della Dalmazia e poi della Pannonia (XLIX 36, 4; LXXX 1, 2), sino al raggiungimento, nel 229, di un secondo consolato ordinario. La cronologia del governatorato in Pannonia ruota intorno all’interpretazione dell’espressione πρὸς τῷ Οὐλπιανῷ (« davanti a Ulpiano », « oltre a Ulpiano »?), presente nel brano di Xifilino relativo alla denuncia della severità di Dione verso i soldati (LXXX 4, 2): nel solco di una lunga tradizione di studi, Molin e Foulon leggono il passo come un riferimento alla medesima calunnia subita da Ulpiano (« les prétoriens m’accusent, après avoir accusé Ulpien »), svincolando dunque la datazione dell’evento dal terminus ante quem costituito dalla morte del giurista, correttamente riferita al 223 (l’intera carriera di Ulpiano è poi ricordata a p. 200‑201 n. 5, secondo la canonica ricostruzione di Tony Honoré e Michel Christol: questo quadro è ora invece rimesso in discussione, con solide argomentazioni, da A. Filippini[3]). La legazione dionea in Illirico è dunque collocata tra il 224‑225 (Dalmazia) e il 225-226 (Pannonia), mentre il ritiro seguìto al consolato eponimo del 229 è indicato anche come il momento in cui viene conclusa la stesura dell’opera storica. Molin aveva già presentato la biografia di Dione in un precedente saggio[4]: la riproposizione di quei risultati in questa sede offre al lettore l’indubbio vantaggio di poter disporre di una sicura guida alla lettura della Storia romana.

La concentrazione sul protagonismo dell’autore non ha distratto dal problema dell’uso di altre fonti: opportunamente viene ricordato l’accesso agli archivi del senato e dei diversi comparti amministrativi (p. XXXIII, LII) e il ricorso a canali orali (cfr. e.g. n. 342 p. 134, a proposito della fuga di Macrino), mentre il componimento su Caracalla menzionato in LXXVIII 2, 1 è interpretato come un panegirico della campagna partica (p. 74 n. 14). Grande spazio è riservato al confronto con Erodiano, su cui viene fornito un buono status quaestionis (p. XXXIII-L), e all’analisi dello stile classicheggiante – ma non privo di vivacità – della prosa dionea (p. LVI‑LXIII): lo scritto è così compiutamente inserito nel panorama storico-letterario coevo, sebbene forse un interesse maggiore avrebbe meritato la figura di Mario Massimo, cui è dedicato solo un fugace accenno (p. 99 n. 131). Molin individua poi gli assi portanti di questo specifico segmento narrativo: le pagine dello storico bitinico permettono di cogliere con chiarezza i mutamenti sociali dell’età severiana (prevalenza di senatori e di liberti di origine orientale, preponderanza dei Caesariani, emersione di viri militares anche di bassa estrazione sociale: p. L-LII) e di ricostruire il funzionamento – o le disfunzioni – dei processi istituzionali (sedute del senato, elezioni consolari, designazione dei proconsoli, attività dei magistrati, legami principe-senato, dinamiche dei colpi di stato: p. LII-LVI); vi traspare inoltre molto bene il disagio dei contemporanei di fronte all’incipiente crisi dell’impero (p. LX-LXIII).

Se grande attenzione è rivolta alla contestualizzazione storica delle vicende narrate, una cura ancora maggiore è dedicata all’analisi filologica (p. LXV-CLVIII). L’eccellente lavoro critico di Éric Foulon restituisce un testo senza dubbio molto più affidabile della canonica edizione di Ursul Philip Boissevain; significativa, peraltro, la scelta di riprendere la numerazione dei libri di Johannes Löwenklau (cfr. n. 359 p. 137-138). Dell’unico testimone diretto, il Vaticanus graecus 1288 (cod. V, V sec. ex.), viene fornita una presentazione puntuale ed esaustiva, che completa le già preziose considerazioni di Carlo Maria Mazzucchi[5], mentre la collazione integrale effettuata su due diverse riproduzioni del manoscritto – tra loro complementari – consente uno studio ecdotico di grande finezza. La tradizione indiretta è scandagliata nelle sue diverse ramificazioni, che Foulon distingue in due gruppi: «nous distinguons tradition indirecte simple (un seul intermédiaire) et tradition indirecte complexe (plusieurs intermédiaires)» (p. XCIV). Al primo nucleo appartengono gli Excerpta historica Constantiniana (De virtutibus et vitiis e De legationibus Romanorum ad gentes), il lessico Suda, Xifilino e Giovanni Zonara, per i quali Foulon ipotizza un archetipo comune, ovvero l’esemplare della seconda metà del IV secolo conservato nella biblioteca palatina di Costantinopoli (p. CIII, CXVI); nel secondo sono invece annoverati Eusebio di Cesarea, Zosimo, Pietro Patrizio, Giovanni Malala, Giovanni d’Antiochia (o meglio, gli Excerpta Salmasiana II), il Chronicon Paschale, Giorgio Sincello, Niceforo, Giorgio Monaco, lo Pseudo Giulio Polluce, Simeone Logoteta, Michele Psello, il cd. Pseudo Simeone trasmesso nel Parisinus gr. 1712 (XII-XIII sec.), Giorgio Cedreno, Costantino Manasse, Michele Glica, Gioele, Teodoro Scutariote, Efraim e lo Pseudo-Zonara. Che la verifica dei codici sia stata estesa, per le sezioni interessate, anche a una parte della tradizione indiretta conferma l’acribia con cui è stato costruito l’apparato critico: nel caso degli Excerpta de legationibus Romanorum ad gentes, ad esempio, è stato considerato un manoscritto cantabrigense sconosciuto a Carl De Boor (Trin. Coll. O.3.23) che, sebbene non abbia apportato significative novità sul piano testuale, costituisce un importante arricchimento delle nostre conoscenze.

Se dunque il lavoro filologico si dimostra esemplare, forse inutilmente artificiosa appare la classificazione dei testimoni proposta. A prescindere da un errore presente alla n. 165 di p. CXXVIII – dove la nascita di Giulio Africano viene collocata ad Emmaus-Nicopoli anziché ad Aelia Capitolina (cfr. Iul. Afr. Cest. F 1050-51 Wallraff et al.) –, non è chiaro perché la Suda, dipendente dai volumina Constantiniana, sia stata posta sullo stesso piano di Xifilino; allo stesso modo, ambiguo è il caso di Zonara – come ricorda lo stesso Foulon (p. CXXVI) –, perché egli in parte mutua da Xifilino e in parte risale a un’altra tradizione (non sappiamo se diretta o indiretta). Infine, fonti come Zosimo, Giovanni Malala, il Chronicon Paschale o Giorgio Sincello, per non citarne che alcune – la cui eventuale, mediata, dipendenza da Dione è tutta da dimostrare – offrono al più dei loci paralleli, e si sarebbero anche potute escludere dalla lista dei testimonia stricto sensu.

Più semplicemente, si potrebbe affermare che, se un primo livello di trasmissione indiretta è rappresentato dagli Excerpta historica Constantiniana, che disposero dell’originale dioneo e – salvo pochi aggiustamenti – lo riprodussero verbatim, un secondo filone è costituito da quegli storici e cronografi che in vario modo utilizzarono la Storia romana, ma rielaborandola secondo le proprie esigenze narrative. Questa seconda e variegata categoria, come opportunamente specificato anche dall’editore (p. CXXXIV, CXLIII), non conserva gli ipsissima verba di Dione, quanto piuttosto l’eco di una tradizione storiografica; in quest’ambito, mentre il contributo degli storici medio-bizantini è, salvo rare eccezioni, affatto trascurabile, decisamente da rivalutare è quello di Pietro Patrizio: « en somme, même si Pierre a tendance à introduire des commentaires personnels et à reformuler Dion, il en conserve maints éléments originaux et en recopie un noyau significatif, en l’occurrence tout ce qui est au style direct. Pierre est donc extrêmement utile pour compléter le texte mutilé de V » (p. CXXXVI).

Nel complesso, nonostante qualche lacuna bibliografica, questa nuova edizione si rivela assolutamente pregevole, e si pone come fondamentale punto di riferimento per lo studio dell’opera dionea.

 

Laura Mecella, Università degli Studi di Milano

Publié dans le fascicule 2 tome 123, 2021, p. 763-765.

 

[1]. Dion Cassius, Histoire romaine, Livre 53. M. Bellissime, Fr. Hurlet éds., Paris 2018.

[2]. Emperors and Usurpers: An Historical Commentary on Cassius Dio’s Roman History Books 79(78)–80(80) (A.D. 217–229), Oxford 2018.

[3]. Efeso, Ulpiano e il Senato. La contesa per il primato nella provincia Asia nel III sec. d.C., Stuttgart 2019, p. 25-54.

[4]. Biographie de l’historien Cassius Dio, in V. Fromentin et al. éd., Cassius Dion: nouvelles lectures, II, Bordeaux 2016, p. 431‑446).

[5]. Alcune vicende della tradizione di Cassio Dione in epoca bizantina, «Aevum» 53, 1979, p. 94‑139.